Nei pochissimi anni trascorsi da quando alcuni temerari correvano disperati per mostruose discese tentando di "staccarsi" dal pendio, attaccati ad un rigonfio "telone", sono stati compiuti progressi che non è esagerato definire "rivoluzionari".
Anche se il pensiero corre ai primi paracadute da lancio (si pensi alle immagini dello sbarco in Normandia), i veri
"nonni" del parapendio sono nati molto più recentemente, negli anni '80.
Come vedremo meglio parlando di aerodinamica applicata, infatti, i vecchi "cupoloni" non volavano ma si limitavano a
precipitare (e nemmeno troppo lentamente; 6-8 m/sec!): ciò che si chiedeva loro era di rallentare la caduta
e nulla più.
Nel tentativo di renderli "direzionabili", negli anni '60 i progettisti si accorsero che era necessaria una modifica radicale: da rotondi a rettangolari (oggi, ellittici). Non soltanto era necessario poter distinguere un "davanti" da un "dietro" (cosa piuttosto difficile con una cupola) ma la vela doveva "procedere" in una direzione precisa e non scendere in verticale. L'intuizione geniale fu quella di costruire la vela doppia, con le bocche di ingresso e le centine, che assumesse, durante il volo, un profilo alare.
Si trattava però di strumenti nei quali la velocità verticale prevaleva largamente su quella orizzontale
(erano fatti per scendere) e non possono essere considerati i primi parapendio, anche se qualcuno li utilizzò
saltando da strapiombi di centinaia di metri; la rupe sostituiva l'aereo, ma il concetto era identico: qualche secondo
di caduta libera e poi l'apertura (si potrebbero chiamare "paradirupi").
Fu soltanto agli inizi degli anni '80 che la velocità orizzontale di alcune vele superò quella verticale,
rendendo teoricamente possibile il decollo con pendenze intorno ai 45 gradi.
Negli ultimi anni si sono delineate le grandi linee evolutive che hanno portato ai parapendio attuali:
Figura 6-2. Rappresentazione schematica (e leggermente enfatizzata) dell'evoluzione del parapendio negli anni.
Agli "albori" di questo sport esistevano differenze impressionanti tra le diverse ali, sia per quanto riguarda l'efficenza che (ahimè) la sicurezza; le vele ad alte prestazioni presentavano problemi non indifferenti di stabilità (tendevano a "chiudere" con notevole frequenza). Proprio per questo, la storica classificazione tedesca (DHV) suddivideva (e suddivide ancora) le vele in tre classi; la Classe 1 che identifica le più facili e sicure; la Classe 2 comprende vele in grado di recuperare autonomamente il volo rettilineo uniforme; alla "eroica" Classe 3, infine, appartengono le vele che richiedono particolari (ed a volte complesse) manovre di recupero.
Diverse classificazioni si sono affacciate sulla scena nel corso degli anni. La 'vecchia' classificazione DHV è stata seguita dalla certificazione europea ACPUL
in vigore dal 1995 e, successivamente dalla CEN (per qualche tempo affiancata dalla AFNOR).
In ogni caso il concetto di base è semplice: all'aumentare delle prestazioni del parapendio corrisponde un aumento nella 'difficoltà di guida' intesa soprattutto come
necessità di interventi sempre più 'tempestivi ed appropriati' se si verificano condizioni anomale. Le vele basiche, invece, dovrebbero recuperare da sole o, meglio ancora,
non entrare in condizioni anomale se non in presenza di fattori eccezionali (che dovrebbero comunque sconsigliare i meno esperti di mettersi in volo).
Consideriamo le classificazioni CEN e DHV: esse definiscono 4 categorie di parapendio come riportato in Figura 6-3 (oltre alla categoria biposto che, ovviamente, fa da sè). Si noti
la relazione esistente tra le categorie ed il grado di abilità/esperienza del pilota.
Figura 6-3Classificazioni vecchie e nuove a confronto
Una importante novità è che i test di omologazione vengono eseguiti in modo obbiettivo, seguendo le
indicazioni del progettista; la classificazione DHV, invece, viene assegnata prevalentemente in base alle impressioni
dei, pur ottimi, piloti collaudatori dell'ente di certificazione.
La certificazione CEN prevede, per le categorie Standard e Performance, fino a 17 manovre (decollo, atterraggio, gamma
di velocità, comportamenti conseguenti all'utilizzo di accessori, stabilità di beccheggio, uscita dalla
fase paracadutale con i comandi, uscita dalla fase paracadutale con le B rilasciate lentamente oppure rapidamente,
sensibilità di virata, manovrabilità, wing over, uscita da una serie di 360 e dagli assetti inusuali)
mentre le vele certificate come Competizione debbono superarne "solo" 12 ed i Biposto 14.
In genere le fasi di apprendimento dovrebbero essere compiute con le ali "più facili" e soltanto successivamente
ci si può rivolgere a quelle dotate di maggiori prestazioni ma anche "più difficili". Si pensi ad esempio
ad un allievo che vuole apprendere le tecniche di wind-surf con un "sinker", quelle microtavole che galleggiano soltanto
quando sono in rapido movimento: non vi sono dubbi che sarà grandemente facilitato chi può iniziare con una
tavola grossa e stabile, in grado di stare a galla anche da ferma.
La gradualità nell'affrontare le difficoltà è infatti un elemento vincente nell'apprendimento
di tutte le discipline.
Inizialmente l'allievo deve poter disporre di un'ala che sia facile da gonfiare, che perdoni ampiamente
tutta una serie di errori che egli (verosimilmente) compirà, che voli, insomma, "da sola" senza l'esigenza
di un continuo controllo e di continue correzioni.
Successivamente, in base soprattutto alla frequenza dei voli, potrà decidere se accontentarsi delle pur elevate
prestazioni fornite da una vela Standard (spesso superiori a quelle di molte Classe 3 di pochi anni fa), oppure se
impegnarsi maggiormente con una vela Performante o da Competizione.
èimportante prendere un parapendio adatto al proprio peso (ogni costruttore ne fornisce da 2 a 4 modelli); si ricordi che un'ala piccola (relativamente al peso del pilota) risulterà più maneggevole e più veloce, mentre una grande avrà un minor tasso di caduta ma risulterà più inerte nelle manovre e più "vulnerabile" alle turbolenze.
Le differenze di peso tra i diversi modelli si giocano su pochi chili od etti, ma chi intende fare del paralpinismo (meno semplice di quel che si pensi) può mostrare una giusta attenzione anche a questo aspetto.
Come in tutte i settori anche in questo si possono trovare marche più costose di altre. Dal momento che gli standard di sicurezza dovrebbero essere uniformemente garantiti, le differenze di prezzo si traducono in genere in differenze di finiture e nel tipo di lavorazione (taglio laser, ecc..). Detto questo, una sana diffidenza nei confronti di marche sconosciute offerte ad un bassissimo costo dovrebbe indurre, quanto meno, a richiedere una valutazione preliminare ad un'esperto diverso dal venditore.
L'evoluzione del parapendio è stata così rapida che, spesso, comprare un'usato, significa dotarsi di una
vela "d'altri tempi" al tempo stesso meno efficiente e meno sicura di quelle più recenti.
Sta diventando tuttavia possibile reperire sul mercato ali "usate" che non fanno pagare troppo caro (in termini di
sicurezza e prestazioni) il loro minor costo: è sempre meglio rivolgersi a rivenditori od istruttori qualificati,
in grado di compiere anche una accurata verifica delle condizioni del mezzo e di intervenire, se necessario, con le
opportune sostituzioni. Come per le auto, il privato o l'amico possono farvi fare l'acquisto migliore (ottimo prezzo),
ma anche il peggiore (e non necessariamente in cattiva fede: quando lui la comprò quella era effettivamente una
delle migliori ali sul mercato, ma due anni sono tanto tempo per l'evoluzione dei parapendio).
Ogni ala prima di essere venduta deve essere collaudata dal costruttore o da una persona qualificata (istruttore,
collaudatore): è un sacrosanto diritto di chi acquista e non rinunciatevi in alcun caso.
In quell'occasione dovrà essere anche verificata la migliore posizione dei trim (se presenti) ed essa
verrà poi mantenuta costante: più avanti, dopo aver acquisito una certa esperienza, se proprio non riuscite
a resistere alla tentazione di utilizzarli, consultate dettagliatamente il produttore od il venditore, poichè ogni
modello risponde in modo differente alle modifiche di assetto indotte dai trim stessi.
Al parapendio affidiamo la nostra sopravvivenza ed è quindi logico porre la massima attenzione e cura nella
costante verifica del suo stato e nella (invero scarsa) manutenzione richiesta.
è sufficiente piegarlo correttamente e lasciarlo in un luogo asciutto evitando le temperature elevate; nel caso, al
termine del volo, sia impossibile lasciarlo asciugare (pioggia, prati bagnati) è opportuno riaprire la sacca ed
arieggiare la vela in un posto asciutto.
In realtà è rarissimo che la vela riporti danni per motivi diversi da quelli "traumatici" cui abbiamo fatto cenno parlando dei materiali: per questo motivo una attenta verifica, prima ed al termine di ogni volo, rappresenta la miglior manutenzione possibile. L'unico intervento che può rendersi necessario è la sostituzione dei cavi dei freni, sostituzione che è meglio lasciar fare al rivenditore (che avrà cura di mantenere esattamente la stessa lunghezza progettata dal costruttore).
La responsabilità dell'efficenza del parapendio è totalmente a carico del pilota (a differenza ad esempio di quanto avviene per il volo motore) ed inizia dal momento in cui il mezzo gli viene consegnato (ovviamente in perfetto stato) dal collaudatore o dall'istruttore.