Da quanto detto nel capitolo di aerodinamica risulta chiaro che un veleggiatore può volare soltanto seguendo una
traiettoria discendente, traendo, proprio dalla perdita di quota, la sua spinta.
D'altro canto sappiamo tutti che è possibile guadagnare quota rispetto al decollo, e veleggiare, anche per ore,
salendo e scendendo in continuazione senza mai atterrare.
Le due nozioni non si contraddicono: il veleggiatore, infatti, non fa altro che planare, ma lo fa in una massa d'aria che sale di più di quanto lui scenda, l'effetto netto è che il veleggiatore guadagna quota rispetto al terreno.
è dunque più che evidente l'interesse dei Vololiberisti per le correnti ascendenti, unico vero motore a
nostra disposizione durante il volo.
Ebbene, diciamo subito che una massa d'aria sale solo e soltanto per due ragioni:
Esaminiamo ora i concetti di base intorno ai quali ruotano i meccanismi che generano le ascendenze, riservandoci di analizzarle in maggior dettaglio nel capitolo dedicato al veleggiamento.
Abbiamo visto prima le ragioni che inducono una massa d'aria più calda a salire e abbiamo anche imparato a predire, in base alle condizioni di equilibrio dell'aria, quanto salirà (tanto se l'aria è instabile, poco o nulla se è stabile).
Forti di queste nozioni, teoriche ma indispensabili, caliamoci ora maggiormente nella realtà, cercando di capire come accade, nella pratica, che si formino le termiche e come sia possibile sfruttarne l'energia nel Volo Libero.
Iniziamo col dire che, quando il suolo in una determinata zona è omogeneo, l'aria al di sopra di esso può
scaldarsi anche notevolmente senza che si inneschi alcun moto verticale: si forma una specie di "lago di aria calda",
immobile, che prende il nome di strato limite termico; questo giace pigramente, sino a che qualcosa non interviene
per metterlo in movimento. In assenza di vento, se qualcosa turba il suo stato (come il passaggio di un trattore su un
campo arato) si distaccano soltanto alcune "bolle" isolate (Fig. 4-12).
Per questo motivo, nelle giornate di grande calma (bonaccia), non si hanno movimenti convettivi interessanti nemmeno se
il sole scalda molto intensamente: in assenza di vento è necessario che la differenza di temperatura tra una
massa d'aria e l'aria circostante superi i 3 gradi (per la precisione 3,416 gradi- gradiente isosterico) perchè
si abbia un movimento convettivo spontaneo.
Figura 4-12.Strato limite termico e punti di innesco.
Immaginiamo invece che un vento benefico spinga lo strato limite termico verso una asperità del terreno (ad esempio verso il bordo alberato della zona omogenea): l'aria dovrà sollevarsi per superare l'ostacolo ma, non appena sollevatasi di qualche metro, si troverà circondata da aria più fredda; soltanto a questo punto si innesca il movimento ascensionale vero e proprio, che ha le caratteristiche del sollevamento adiabatico studiato prima.
Non solo, ma l'aria che sale trascina con sè tutta la restante aria calda, dando origine ad una vera e propria ascendenza termica. Gli alberi del nostro esempio hanno agito da punto di innesco e sopra di loro si è generata una termica. è chiaro che, volando, cercheremo di individuare tutti i possibili punti di innesco (che vengono anche detti "trigger-point"); questi coincidono con zone di dislivello (colline, confini alberati) oppure con zone a differenti temperature (bordi di laghi o fiumi, campi arati tra prati verdi, ecc.) in modo da poter sfruttare le ascendenze che, speriamo, da questi vengono innescate.
Le montagne, quando sono investite da un leggero vento prevalente, sono in grado di "raccogliere" le bolle e le colonne termiche, che vi si adagiano contro e se ne distaccano. Ecco perchè è molto più semplice trovare e sfruttare una ascendenza termica nel volo di pendio rispetto al volo di pianura.
Il secondo tipo di ascendenza termica è generato dalle brezze, fenomeni regolari ed ampiamente prevedibili che si
realizzano nelle valli ed in prossimità di grandi specchi d'acqua (laghi, mare).
Caratteristica comune di tutte le brezze è la ciclicità: esse, infatti, invertono la loro direzione 2
volte nell'arco delle 24 ore.
Nel nostro emisfero i pendii montani esposti a sud ricevono più sole (o meglio lo ricevono in modo più diretto) rispetto alla pianura (e ancora di più rispetto ai pendii esposti a nord). Questo dipende dal fatto che i raggi solari, inclinati da sud a nord, colpiscono tali pendii in modo perpendicolare o quasi. L'aria che è "appoggiata" sui pendii tenderà dunque a scaldarsi anch'essa (per conduzione) e, essendo più calda di quella ad essa circostante, risale il pendio. Nuova aria fredda discende allora in mezzo alla valle per rimpiazzare questa che è risalita, formando un sistema di circolazione che si mantiene fino a sera.
Si noti che anche sui pendii soleggiati si forma uno strato limite termico: infatti l'aria che risale, continuando ad appoggiare sul pendio, continua ad scaldarsi, alimentando la brezza. Quando lo strato limite termico raggiunge la cima, se ne distacca (e, se si tratta di una giornata in equilibrio instabile, dà luogo ad una termica): le cime delle montagne agiscono dunque anch'esse come punti di innesco.
Di sera invece accade il contrario; i pendii si raffreddano prima della vallata: le montagne, che sporgono
nell'atmosfera come enormi radiatori, dissipano calore per irraggiamento nell'aria circostante, più fredda.
In queste condizioni l'aria in centro valle, più calda, tende a salire, richiamando aria più fredda
giù dai pendii e la brezza inverte il proprio senso di marcia.
Figura 4-13.Brezza di valle e brezza di monte.
Sul confine tra terra e mare si verifica qualcosa di simile a ciò che accade nelle valli; di giorno la terra
si scalda di più rispetto all'acqua (come sa chi cammina in agosto sulla sabbia rovente di una spiaggia); l'aria
che è a contatto con il suolo diviene rapidamente più calda rispetto all'aria che giace sul mare.
Si innesca quindi un ampio movimento nel quale l'aria sulla terra sale, richiamando aria dal mare.
Di sera accade il contrario: l'acqua, che durante il giorno ha accolto il calore del sole anche in
profondità, agisce da "serbatoio di calore" ed è più calda della terra (come sa chi ha fatto un
bagno serale o notturno); sarà ora l'aria sovrastante il mare a salire, richiamando aria più fredda
dalla terra.
Figura 4-14.Brezza di mare e brezza di terra.
Il secondo importante movimento ascendente delle masse d'aria è quello che si forma, a prescindere dalla temperatura, quando un vento sufficientemente sostenuto (25-30 Km/h) investe un pendio.
Esso si comporta, in questo caso, in modo molto simile a ciò che farebbe l'acqua di un fiume spinta contro un sasso (Fig. 4-15): se può (cioè se l'ostacolo è sufficientemente stretto) lo aggira (senza creare ascendenze di rilievo), ma se l'ostacolo è sufficientemente largo essa è costretta a risalirlo (in apparente contrasto con la forza di gravità) fino a cadere dall'altra parte.
Ogni volta che una montagna è investita dal vento, sarà quindi possibile distinguere:
Figura 4-15.Un picco isolato non crea ascendenza dinamica, un largo costone invece si
La figura 4-16 illustra l'andamento dell'aria che incontra ostacoli di diverso profilo. Si noti che, come è logico
attendersi, un profilo montano perfettamente aerodinamico (a forma di ala) non dà luogo a turbolenze: purtroppo
non ne esistono molti.
La banda di ascendenza (tratteggiata) e la linea di maggiore ascendenza (freccia) sono differenti a seconda che si
tratti di un pendio o di un dirupo: si nota che nel pendio la zona di ascendenza si estende maggiormente verso il basso
e la linea di maggior ascendenza si trova spostata verso valle; nel dirupo invece, a parità di vento, la zona
di ascendenza ha maggiore estensione verticale e la linea di massima ascendenza è quasi sulla verticale della
cresta.
Inoltre il dirupo dà origine a turbolenze più grosse e più potenti del pendio (come regola generale
si ricordi che gli spigoli "vivi" danno luogo a rotori maggiori rispetto ai bordi arrotondati).
Figura 4-16.Se la montagna non ha un profilo "alare", in presenza di vento si formano rotori (R), sia a valle che a monte della zona di ascendenza.
Con il termine rotore si indica un movimento rotatorio e vorticoso dell'aria lungo un asse orizzontale. Nelle figure precedenti se ne possono individuare alcuni. I rotori si formano ogni volta che una massa d'aria incontra un oggetto, e se ne riconoscono due tipi (Fig. 4-17):
Tuttavia anche con venti che risultano "volabili" con ali veloci (fino a 40 km/h) i rotori che si formano sottovento sono di tutto rispetto, ed ampiamente in grado di spezzare un deltaplano e di "aggrovigliare" un parapendio. Vale poi la pena di sottolineare che, in una giornata soleggiata, la parte ascendente del rotore può fondersi con una termica di sottovento, cioè con un movimento termoconvettivo dell'aria che si sviluppa nella zona di relativa quiete, posta sottovento (appunto) alla montagna. La regola aurea di evitare assolutamente i versanti di sottovento durante i voli in dinamica, ci evita, comunque, la tentazione di "sfruttare" tali termiche, ambite dagli alianti, ma decisamente troppo "turbolente" per le ali leggere.
Diverso è il discorso per i piccoli rotori di sopravvento: questi si trovano proprio dalla parte del monte che
noi usiamo per il volo e non è raro incapparci. Anche se sono molto più piccoli e meno "cattivi", possono
causare difficoltà anche notevoli se ci colgono vicino al pendio (quando le nostre capacità di recupero
sono minime).
In genere i rotori di sopravvento sono tanto più preoccupanti:
Un ultimo tipo di rotore che è utile conoscere ed evitare (nei limiti del possibile) è quello generato da piccoli ostacoli (case, alberi); possiamo incontrare questi rotori soltanto nei due momenti più delicati del volo, decollo ed atterraggio, e dunque, per quanto modesti, meritano la nostra massima attenzione.
Figura 4-17.I rotori che si formano sottovento ad una montagna possono staccarsi da essa e ritrovarsi anche a diversi chilometri di distanza (rotori migratori); sono da evitare anche i piccoli rotori di sopravvento, tanto più forti quanto più angolato è il "raccordo" tra montagna e pianura.