Come abbiamo appreso dall'aerodinamica, il controllo dell'incidenza è cruciale nel determinare le velocità
di volo (sia verticale che orizzontale) e, conseguentemente, anche l'efficienza.
Durante il volo l'incidenza viene modificata dagli spostamenti antero-posteriori del peso del pilota:
Un aquilone ben equilibrato, quando lasciato libero di volare in aria calma senza che vengano esercitate forze sulla barra di controllo, vola ad una velocità determinata dalle sue caratteristiche strutturali e di regolazione: tale velocità, che varia da apparecchio ad apparecchio è detta velocità di trim (o di regolazione).
Rallentando, cioè spingendo progressivamente sulla barra, si giunge alla velocità di minima caduta: in aria calma e a parità di quota questa velocità è quella che ci permette di stare in aria più a lungo. Attenzione però...
Rallentando ulteriormente si scende al di sotto della velocità di stallo e l'apparecchio, come sappiamo dall'aerodinamica, non vola più.
Se invece, partendo sempre dalla velocità di trim, acceleriamo, tirando progressivamente sulla barra, raggiungiamo la velocità di massima efficienza: è questa la velocità alla quale diviene ottimale il rapporto tra caduta ed avanzamento, in aria calma, è la velocità che ci permette di andare più lontano.
Tirando ancora, la barra arriva a toccare il nostro corpo ed è impossibile accelerare ulteriormente:
questa è la velocità massima raggiungibile in sicurezza (gli stessi apparecchi non sono progettati
per velocità superiori).
è teoricamente possibile saltare davanti alla sbarra attaccandosi ai cavi anteriori e precipitare con l'aquilone
quasi in verticale, ma gli aumenti di velocità che si osservano sono solo incrementi della velocità
verticale ed allora tanto vale saltare senza aquilone (si raggiungono pur sempre 230 Km/h!).
Il principale errore che può essere commesso nel controllo dell'incidenza è il superamento dell'angolo critico, o angolo di stallo, con conseguente perdita di portanza del deltaplano: è questo lo stallo. Gli apparecchi attuali, tuttavia, mostrano almeno tre tipi di comportamento a seconda che l'angolo critico venga raggiunto lentamente e progressivamente, oppure bruscamente ed in velocità.
Se, in volo rettilineo, spingiamo progressivamente sulla barra fino ad avvicinarci all'angolo di stallo,
l'apparecchio rallenta sempre più, diventando scarsamente manovrabile: in questa condizione, definibile come
"prestallo" il deltaplano "spancia", è estremamente inerte, e non risponde alle manovre di rollio. è la
condizione che si verifica, in atterraggio, quando ritardiamo troppo lo stallo finale.
Manovra di correzione: disponendo di un minimo di quota (almeno 20 mt), il pieno controllo dell'apparecchio
può essere facilmente ripreso, semplicemente riducendo (anche di poco) l'angolo di incidenza. Una moderata
perdita di quota si traduce in velocità, e l'apparecchio torna a volare correttamente.
Parlando di atterraggio abbiamo sottolineato che lo stallo finale è una manovra che richiede un minimo di energia:
tale considerazione vale anche per lo stallo in volo. Se l'angolo di stallo viene superato dopo una lieve presa di
velocità, l'apparecchio segue una traiettoria curvilinea, puntando il naso verso il cielo e "fermandosi" quando
ha esaurito l'energia di cui disponeva.
Manovra di correzione: un deltaplano attuale riprende autonomamente il volo, dopo uno stallo, grazie ai
dispositivi di autostabilità di cui è dotato. Dopo un attimo di apparente immobilità, il naso
"cade" verso il basso ed il deltaplano riprende la velocità e l'incidenza necessarie per volare. Possiamo
aiutarlo in questo: tirando leggermente la barra, ridurremo (di poco) il tempo necessario per ristabilire un volo
rettilineo. Si tenga conto che il recupero di uno stallo completo richiede almeno 30-50 mt di quota.
Sappiamo dall'aerodinamica che lo stallo dinamico si realizza quando l'angolo critico di incidenza viene superato
mentre si sta volando ad elevata velocità: con il deltaplano (specie con quelli di
5a gen.) questo è possibile. Supponiamo di eseguire una picchiata
ad 80 Km/h e di spingere, improvvisamente e con decisione, la barra in avanti. Nell'attimo stesso in cui l'ala supera
l'incidenza critica, essa stalla e smette di volare; tuttavia rimane l'inerzia dovuta alla precedente velocità:
ne consegue una perdita di quota molto maggiore rispetto a quella persa dopo uno stallo "normale".
Manovra di correzione: è molto difficile realizzare uno stallo dinamico senza volerlo, poichè
sono necessarie due circostanze (tutto sommato) "volontarie", la elevata velocità iniziale e la cabrata molto
brusca ed eccessiva. In genere si tratta di manovre acrobatiche mal tentate e peggio riuscite. In ogni caso una
leggera trazione sulla barra renderà più rapido il ritorno a condizioni di volo. La perdita di
quota sarà però notevole (50-80 mt).
Sappiamo dall'aerodinamica, che una virata non è semplicemente ottenibile con un rollio, ma richiede anche un
momento cabrante che evita le scivolate d'ala. Nel volo col deltaplano questo si realizza attraverso
spostamenti coordinati del corpo sia lateralmente che longitudinalmente.
Esaminiamo, spezzando schematicamente le varie fasi, i movimenti da compiere commentandoli con alcuni cenni di ordine
"pratico" (a questo punto, infatti, le ragioni aerodinamiche dovrebbero essere già chiare e comprese).
Figura 5-20.Virata coordinata: A=posizione di volo rettilineo; B=spostamento del peso in avanti (presa di velocità).
Figura 5-21.Virata coordinata: C=spostamento laterale del peso; D=spostamento indietro del peso (cabrata in virata); E=spostamento del peso in avanti (presa di velocità); F=spostamento laterale del peso nel senso opposto alla virata (per "centrare" l'apparecchio).
Si ricordi, infine, che un'apparecchio in virata, proprio per la latenza di risposta già citata, tenderà a proseguire la sua traiettoria circolare ancora per un breve periodo prima di ritornare in volo rettilineo: volendo compiere una virata di 90 gradi, dunque, eseguiremo la manovra di centraggio quando avremo compiuto circa 70 gradi (Fig. 5-22).
Figura 5-22.L'inerzia dell'apparecchio richiede che il "centraggio" venga effettuato in anticipo (20<198> circa).
Abbiamo più volte sottolineato come sia importante disporre di una riserva di velocità di volo per far
compiere all'apparecchio le manovre desiderate.
Questo fatto, già rilevante per tutti i mezzi volanti, diviene, se possibile, ancora più essenziale per
noi deltaplanisti, data la guida a spostamento di peso (tecnica da 10 a 100 volte più faticosa rispetto ai comandi
aerodinamici !)
Volare spostando il peso significa infatti combattere costantemente contro la gravità (che ci vorrebbe sempre appesi sotto la verticale del punto di aggancio) e, come se non bastasse, anche contro l'inerzia dell'apparecchio, specialmente nell'esecuzione di manovre sull'asse laterale. Mentre contro la forza di gravità c'è poco da fare (in realtà stiamo già trionfando contro di essa, nel momento stesso in cui voliamo), per l'inerzia molto può essere fatto, semplicemente ricordando di non rallentare eccessivamente; a dire il vero la tentazione esiste, poichè lo sfruttamento delle ascendenze prevede di volare spesso alla velocità di minima caduta, vale a dire sempre un po' lenti. Volando lentamente, come non bastassero gli aumenti di inerzia e di latenza di risposta, si percepisce maggiormente anche un altro fenomeno (più accentuato sugli apparecchi molto allungati): l'imbardata inversa (Fig. 5-23).
Lo spostamento laterale del peso determina, infatti, un maggior carico sull'ala interna; questa, oltre ad
abbassarsi, accelera leggermente per qualche attimo: l'aquilone tende quindi ad imbardare nella direzione opposta
a quella voluta. è evidente che la differenza di velocità che si genera tra le due ali (responsabile della
imbardata inversa) farà sentire maggiormente i suoi effetti quando l'apparecchio vola a basse velocità,
essendo meno rilevante a velocità via via maggiori.
Morale: specie agli inizi, teniamo sempre una velocità superiore a quella di minima caduta, per poter
avere più manovrabilità (meno inerzia) e risposte più pronte (minor latenza di risposta).
Figura 5-23.L'imbardata inversa è percepibile, con apparecchi molto allungati, alle basse velocità.
Se è vero che la virata coordinata si fonda su un momento cabrante "adeguato", deve essere vero che una spinta esagerata od insufficiente sulla barra determina conseguenze aerodinamiche non ottimali: la scivolata d'ala e la vite già incontrate in aerodinamica. è doveroso premettere che gli attuali deltaplani possono riprendersi autonomamente dalla scivolata d'ala (se esiste una quota sufficiente) e che non vanno molto facilmente in vite; è tuttavia indispensabile conoscere esattamente le cause di questi fenomeni e, soprattutto, le manovre necessarie per risolverli.
Abbiamo visto che il momento cabrante ha lo scopo di riequilibrare le forze in virata e che, in sua assenza l'aquilone scivola d'ala (verso l'interno ed in basso) (Fig. 5-24). Questa scivolata sarà inizialmente debole e diverrà via via più forte se manteniamo il peso spostato senza cabrare. I piloti esperti a volte usano le scivolate controllate per perdere quota in fase di avvicinamento all'atterraggio; inutile sottolineare che questa tecnica non è molto sicura, specie vicino al suolo.
Manovre di correzione: se ci accorgiamo subito di scivolare sarà sufficiente spingere sulla barra per ottenere l'effetto cabrante; se invece la scivolata è diventata sostenuta (mostravento sul cavo anteriore posto a 45 gradi o più rispetto alla direzione della chiglia) si dovrà dapprima ristabilire la velocità orizzontale (quella di avanzamento) che inevitabilmente cala scivolando: si eserciterà dunque una trazione sulla barra e immediatamente dopo si sposterà (anche energicamente) il peso verso l'esterno per centrare l'aquilone, riprendendone il controllo.
Gli aquiloni attuali tendono a riprendere autonomamente la velocità di volo, ponendosi con il naso in basso: questo, tuttavia, richiede almeno 50-60 mt di quota e non si verifica se il pilota, caparbiamente, tiene il peso spostato lateralmente senza cabrare.
Figura 5-24.La scivolata d'ala per mancata (od insufficiente) cabrata.
Un eccessivo cabraggio in virata porta allo stallo dell'ala interna. Questo significa che quell'ala smette di generare
portanza e diviene un "peso morto"; tutta la portanza è fornita dall'ala esterna che, di conseguenza, subisce un
notevole aumento del carico alare, questo la fa accelerare conducendo ad un avvitamento apparentemente inarrestabile
(Fig. 5-25).
Manovra di correzione: la reazione più istintiva sarebbe quella di spostare il proprio peso all'esterno
della vite, nel tentativo di ristabilire l'orizzontalità dell'aquilone. Purtroppo però questa manovra
non fa altro che caricare ulteriormente l'ala esterna, imprimendole un'ulteriore accelerazione, con conseguente
peggioramento della vite!
La manovra da eseguire, invece, consiste nel tirare la barra, spostando ulteriormente il peso all'interno: l'apparecchio reagirà a questa manovra "abbassando il naso" all'interno della vite e riprendendo velocità su entrambe le ali. Non appena si avverte che l'ala interna ha ripreso a volare (cioè a sviluppare portanza) si potrà intervenire correggendo la direzione e, successivamente, la velocità. Una vite in quota non rappresenta dunque un pericolo (se abbiamo imparato ad uscirne), mentre lo è a bassa quota o vicino al pendio.
Figura 5-25.Stallo d'ala (vite) per scarsa velocità in entrata od eccessiva cabrata.